Sentiero Terrestre

Sentiero Terrestre

 


Il sentiero terrestre attraversa la pianura emiliana, e sono due i luoghi dove l’attenzione fotografica di Fiorella Iacono ha spinto il proprio vedere come se fosse ai limiti di un territorio senza confini: i Laghi Curiel di Campogalliano, vicino alle casse d’espansione del fiume Secchia e, non lontano dall’argine del fiume Panaro, una fabbrica per la escavazione di sabbia. Il paesaggio emiliano in queste sequenze raggiunge una sua precisazione oggettiva, ma, allo stesso tempo, i luoghi che vediamo sono come trasfigurati, oltre confine: depositi di sabbia, cumuli, alternarsi delle stagioni sui laghi, lungo il sentiero, dove il cielo riflettendosi sulle acque cambia luce e colore. Le cose naturali sono in contatto con una terra di confine, ora sconfinante, da trapassati, fatta di materiali inerti che sono le macchine industriali nel perimetro di un luogo specifico com’è il territorio dell’Emilia. E quindi l’assimilazione sulla pellicola, in una diversa e nuova figurazione, tra una cosa incisa dalla natura e un’altra dalle apparenze innaturali, delimita scenari immaginari quanto invece profondamente locali dentro alle fibre di ogni cosa. Per questo motivo c’è, in queste sequenze fotografiche, l’idea di stabilire un racconto degli oggetti, di creare un itinerario che ha nelle solitarie apparenze (le ‘apparenze’ le chiama proprio Gianni Celati uno scrittore amato da Fiorella) un paesaggio con una prospettiva narrativa. Sono luoghi dunque meditati prima di essere scattati, posti in immagine; c’è nel vedere queste terre emiliane come un’accettazione interiore del paesaggio, tenendo conto che le escavazioni, proprio come quelle interiori, o l’alternarsi sul sentiero delle stagioni, sono trasformazioni, mutazioni alquanto paradossali, tra natura e impianti industriali, e trasformazioni di suggestioni appartenenti soltanto della natura come dato di fatto. Le foto dei Laghi Curiel e quelle degli impianti sul Panaro sono sentieri diversi scattati in un’unica regione, quella del sentire tra le apparenze, nei luoghi oggettivi. C’è qualcosa di indecifrabile nelle escavazioni di sabbia, rappresentano altro, sono come strumenti di allegorie che ci vogliono indicare, nella loro permeata freddezza, una complice trasformazione e una riflessione sulla memoria perché rispondono al perimetro di un sottosuolo scavato e non sempre venuto alla luce. La pianura emiliana così senza particolari sussulti chiede al fotografo (come già avvenne per Luigi Ghirri) di diventare uno scopritore nei campi lunghi dell’obbiettivo, di essere uno scienziato della natura, di stare nel dettaglio, nella cosa anche se di diversa natura, e di stare in sintonia dentro al luogo e così nelle apparenze diverse.

Andrea Gibellini